...fermiamoci ad osservare

martedì 22 febbraio 2011

pagina 87


Biografia (...)
..e ho preso questa decisione perché credevo fosse quella giusta, per me, per tutto me stesso. Lo credo tutt’ora nonostante la tragica sconfitta e la conseguente delusione. Il problema non è smettere; smettere di per sé è anche facile, se fatto nel modo giusto; no, il problema è proprio non smettere, fare finta di niente e continuare a farsi del male consciamente sapendo che non c’è nulla, nulla di buono nel veleno. Ma il problema in realtà, il vero problema è cominciare e non importa l’età a cui si inizia, non importa a quale pagina della propria biografia si da il via a questo meccanismo di autodistruzione, il male sta in quel primo attimo, in quel primo pensiero, in quella prima boccata di merda.
Un vero fallimento. Metà della mia esistenza a rincorrere un veleno che da dietro una porta di guarda, ti osserva, ti ammalia e ti distrugge, lentamente, non ha fretta lui, no.
Ci saranno ancora molte altre pagine da scrivere è vero, ma questa, la mia decisione più importante, questa è la soluzione. Perché nel percorso, in questi quattordici anni, di segnali ce ne sono stati! Una maledetta infinità; e che fine hanno fatto? Da dietro una porta sono stati guardati, ma non osservati, sono stati sentiti, ma non ascoltati; sin dall’inizio. A volte non siamo in grado di vedere il male nonostante sia fermo a braccia conserte sotto un lampione, nonostante l’abbiamo già visto entrare in casa nostra e litigare con mamma e papà, nonostante abbia una maglia con scritto io sono il male. Tutto questo non può che riportarmi alla mente quel giorno di quattordici anni fa, a metà vita, quando ho fatto la mia scelta; quando ho sbagliato, per la prima volta. Era il 1996; era estate e al Festivalbar suonavano canzoni meravigliose. Come tutti gli anni le vacanze passavano in Valle d’Aosta tra passeggiate in montagna e stambecchi e marmotte e fiori stupefacenti e campi da tennis e piscina e videogames. Il più bello in assoluto era Street Fighter ed io e mio cugino Luca potevamo stare a giocare per ore ed ore pestando a morte dei combattenti valorosi pieni di poteri magici e colpi pirotecnici da k.o.; saremmo riusciti a finirlo se solo i cinquecento lire da metterci dentro non andassero via come il pane; avremmo dovuto rubarli dalle docce del campeggio per poter arrivare al mostro finale; l’abbiamo fatto poi, ma questo sta su un’altra pagina.
Ad agosto in valle si sta da Dio, non si annaspa come a Milano, ma si sguazzava comunque felicemente in piscina; e poi c’era Tamara e il suo fischietto giallo e il suo costumino rosso alla Baywatch. Imperdibile! La sera fa freddo e si stava al bar a giocare a sette e mezzo o a raccontare barzellette. Era bello.eravamo ragazzini. Ma una sera le cose sono andate diversamente; mio cugino è venuto da me dicendomi che aveva una sorpresa. Sapevo bene di cosa si trattasse, l’avevo sperimentata già quel pomeriggio, un po’ di fretta e anche se non mi era piaciuta poi così tanto, ero felice di rifarlo. Non sapevo perché. Oggi lo so.
Ricordo che pioveva, non poco. Abbiamo salutato gli altri con una scusa super ingegnosa e ci siamo incamminati verso la zona sud del campeggio, con calma per non attirare l’attenzione. Niente ombrello, roba da sfigati. Mi sentivo una specie di ladro supereroe in calzamaglia verde e l’arco sulla spalla. La discesa era piuttosto lunga e ripida, con la pioggia incalzante diventava scivolosa e ci voleva davvero poco a fare una figuraccia. Per mia fortuna solo mio cugino mi ha visto ruzzolare come una palla di fieno fino a schiantarmi contro una roulotte, graffiandomi il viso, i gomiti e ovviamente le ginocchia. Rideva lui. Lo ricordo come fosse ieri. Poi siamo arrivati al cancello; wow, era alto due volte me. Arrivavo a metà in punta di piedi e con le mani alzate. Ok, si va. Saltiamo, la felpa si incastra nelle inferriate strappandosi di netto sotto il braccio, io scendo, attratto dalla gravità e lei rimane incatenata e dilaniata sulle punte del cancello. Il freddo era devastante ma come si dice, lo spettacolo deve continuare. Dopo pochi passi il buio era diventato come il mare profondo e non vedevamo assolutamente dove mettere i piedi; le calze dentro le scarpe erano ormai zuppe e i girini crescevano nelle mie Air Max prendendosi gioco di me. Non saranno certo due gocce a fermarmi. Ma un ramo in faccia, quello sì, ti può fermare e può anche farti male. Gli occhiali nuovi sono caduti sul fango e se non fosse stato per Luca e il suo quarantacinque di piede non li avrei mai ritrovati; il rumore è stato piuttosto inquietante: crack. Miope, sotto il diluvio, congelato e graffiato. Dai che manca poco, dobbiamo solo superare i cani. Ma dove cazzo le hai nascoste? Ho freddo! E lui rideva. Di gusto. Ricordo l’odore fresco delle foglie bagnate che sbattevano sulla mia faccia, facendomi bruciare le ferite di guerra. Sentivo i cani abbaiare poco dietro la stalla che si faceva sempre più vicina. Il recinto arrugginito che la delimitava aveva un buco, sotto, in basso, dove i vermi ballano coi lombrichi e le lumache sbavano felici, imitando Pollicino. Ci siamo sdraiati e abbiamo strisciato come i marines; il fango in bocca puzzava di mucca, o forse di capra. Ero diventato ufficialmente un tronco alla deriva in un fiume, grondante e puzzolente e con una voglia di vomitare quel fantastico cheesburger e ci metto su anche le patatine fritte di ieri. I cani per fortuna facevano paura ma la catena era ben ancorata a terra, almeno speravo; in realtà una bella corsetta di salute sotto il diluvio e con la strizza che rimbalza tra cuore e polmoni, ci ha impedito di scoprirlo! Una bella mossa! Peccato quel copertone abbandonato in mezzo al nulla. Peccato quel fango freddo e puzzolente in faccia. Peccato. Di nuovo.
No mamma tranquilla sto bene, ho solo avuto un piccolo inconveniente, nulla di che, no non ti preoccupare, lavo tutto da solo, o forse, che ne dici, butto via tutto?. Già vedevo i suoi occhi assassini. Già sentivo lo zoccolo sulle chiappe. Già mi scendevano le prime lacrimucce. Ma eravamo arrivati. Sotto un cartone, dentro un piccolo capanno, lì stavano e ci aspettavano. Dai dai dai che non vedo l’ora dammene una! Il primi dieci fiammiferi erano fradici ma l’undicesimo, ci ha salvati. Ci ha resi uomini! La prima boccata faceva davvero schifo, la seconda anche, forse la terza era meglio, di sicuro l’ultima mi ha fatto venire voglia di accenderne un’altra. Non ricordo di preciso, ma credo che in un’ora ne avremo fumate almeno cinque. Il ritorno a casa è andato meglio. Siamo usciti dalla boscaglia per raggiungere la strada. Basta fango. Basta. Abbiamo allungato di almeno un’ora e mezza, ma ne è valsa la pena, o no?! Quel giorno la mia vita è cambiata. Senza dubbio. Un passo importante quello di allora. Non posso vivere senza il ricordo perché altrimenti non saprei da dove prendere spunto per crescere e non saprei imparare, riconoscere quell’uomo con quella scritta sulla maglia, che è divenatato amico di famiglia. Un fallimento, sì, ma c’è una novità. Ho trovato un libro, s’intitola ‘É facile smettere di fumare se sai come farlo’. Dicono funzioni. Domani lo leggo. Domani però. Ho ancora quattordici sigarette nel pacchetto. 

4 commenti:

  1. Originalissimo!
    Complimenti Dani!
    P.s: hai mica d'accendere...?

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  2. bellissimo....certo molto intima come biografia..complimenti....!!

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  3. Mooolto divertente! Certo che è la prima volta che sento raccontare di una prima cicca così avventurosa...almeno non ti si sentiva addosso l'odore di fumo!

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