...fermiamoci ad osservare

lunedì 21 marzo 2011

Casa, telefono casa


Oggi c’è il sole; è una giornata come un’altra, in apparenza, meravigliosa sì, ma comune. Il vento è caldo e gli alberi nei boschi cantano le loro strofe tra il chiaro e lo scuro. Ma qualcosa sta per cambiare, per sempre! La mia vita sta per cambiare; una svolta stravolgente; un incontro stratosferico; una botta sul coppino che ti ricordi per tutta la vita! Qualcuno sta per piovere dal cielo, dallo spazio infinito; sì come una goccia da una nuvola, leggera e precisa nella traiettoria, sublime, fantastica, ammaliante, eccitante. Un’avventura alla Steven Spielberg, il re della fantascienza!
È ormai sera e lui è arrivato; è a casa di Elliot e Gertie; quant’è bella Gertie, anche se in versione ufficiale Drew, è davvero insuperabile.. tipo il tonno!! la mia Gertie meravigliosa, la sposerei subito se non fossi ancora soltanto un bambino, ma lei comunque, nella vita, ha altri progetti, grandi progetti; Hollywood l’aspetta. Ha soli 7 anni adesso, ma presto farà scintille!! ma stasera, qui, in questa stanza, il protagonista è un altro; è bellissimo anche lui, da un certo punto di vista, con quel suo collo rugoso e allungabile tipo Denver, quegli occhioni giganti che ricordano tanto due tartarughe spaziali e quel dito magico che s’illumina di rosso. Arrivo e lo trovo lì, alto quanto me, o meglio, basso quanto me!!quello sguardo magnetico che è un mix tra il poeta Carl Sanduberg, il mitico Albert Einstein e l’enigmatico Hemingway…brrrrr. Sta facendo volare in aria ogni oggetto solo per farci capire che lui viene dallo spazio, cerca di rappresentare la sua galassia e cavolo, ci riesce da dio!!
“Extra terrestre, portami via, voglio tornare indietro a casa mia..”. Già, vienimi a pigliare E.T., portami sulle nuvole con la bicicletta come fai con Elliot, fammi vedere il tuo cuore rosso che pulsa attraverso il verde della muta di Rambaldi, fammi vivere avventure fantastiche superando le leggi della natura, proprio come nel film; addormentati accanto a me e risvegliami con una magia; svegliami con una prodezza, svegliami…svegliami… “Sveglia… dormiglione. Dai che devi andare a scuola. Basta sognare tesoro, su, è ora!!”.
Già, basta sognare; qui non siamo a Hollywood!! Milano mi attende, la scuola mi attende; però sono felice, il film di ieri sera al cinema, mi è piaciuto da impazzire!!  Quante emozioni incredibili ho vissuto…e poi…e poi mi sono innamorato!!!
E allora… al prossimo film Drew…e al prossimo sogno, misterioso omino verde.

“Io sarò sempre qui, Elliot!!”.

giovedì 10 marzo 2011

A piedi nudi sulle strade della follia

Direttamente dal concorso di scrittura creativa Contest su fb...la sceneggiatura di una storia ancora da scrivere!!!


A piedi nudi sulle strade della follia                                                                    
Scena 1. Interno. Notte. Appartamento di Toby. Campo largo.
Toby il matto prepara il tè.
La Macchina Da Presa si avvicina lentamente al protagonista. Si notano i capelli lunghi e sfatti come fossero unti di chissà quale sostanza schifosa. Pantaloni sporchi e rotti e rossi sovrastano lo schermo come un pugno nel bianco immacolato della stanza. La pentola con l’acqua brucia. Il tè è dimenticato al suo destino.
Toby il matto dipinge un quadro.
La MDP zumma sulle mani di Toby. Tremano. Sporche di pittura. Ancora fresca. Dettaglio di un pennello macchiato di rosso sangue argentino. Si sente un urlo in lontananza, fuori dalla finestra. Qualcuno sta morendo.
Toby il matto vede il futuro. Toby il matto dipinge il futuro.
Scena 2. Interno. Notte. Appartamento di Toby.
Primo piano del volto sterile e scialbo di Toby; sguardo fisso sul quadro; occhi sbarrati, persi in un vuoto che puzza di tristezza, di malinconia, di cattiva luce premonitiva..
Dettaglio degli occhi di Toby, spaventati, come quando da bambino si rannicchia sotto le coperte per sfuggire alla malignità della capra cattiva che abita il suo armadio a due ante. Sei come me, dice la capra barbuta. Sei come me!
Toby il matto vuole vendetta.
Scena 3. Interno. Notte. Appartamento di Toby.
Controcampo sul collo del protagonista. Vediamo una cicatrice lunga nove centimetri partire dall’orecchio e terminare la sua folle corsa pugnale cattivo ti rubo tutto se non mi dai i soldi piccolo pazzo bastardo, proprio sulla gola, accanto al gargarozzo. La MDP scende lenta ad inquadrare il tavolo da lavoro. Una tazza da tè vuota. Una fetta di limone trapassata da una lama. Un accendino. Un pacchetto di Marlboro. Rosso fuoco. Una tela. Un pennello. Un solo colore. Rosso sangue. In alto a destra, accanto al coltello, un libro. Cronaca di una morte annunciata. G.G. Marquez.
La MDP continua la sua traiettoria in rotazione tornando di fronte a Toby che ora…
Inquadratura di una mano che tocca il quadro ancora fresco. Mischia il colore. Prende forma una sagoma. Donna. Bellissima. Urla. Terrore. Impotenza. Fragilità.
Toby il matto è in stato di trance.
L’inquadratura si alza a godere di due occhi totalmente bianchi, con una leggera sfumatura di blu, spalancati sul mare d’agosto in un sogno che non durerà a lungo.
Scena 4. Interno. Notte. Appartamento di Toby
Dettaglio della bocca urlante della donna nel quadro incompleto. Dentro. Una nave. Una sirena. Una fiamma esplosiva. Ci spostiamo con la macchina da presa a seguire le forme di quest’essere in pericolo sulla tela. Ci soffermiamo sul ventre. Gonfio. Incinta. In attesa. Di essere salvati.
Toby il matto ama gli eroi.
Inquadratura dal soffitto. Il nostro eroe pazzo alza la testa verso di noi che lo osserviamo in silenzio, intimoriti forse, di certo curiosi ed impazienti. Apre la bocca. Strilla. Come una femminuccia direbbe suo padre. Come una femminuccia. Le braccia aperte come ad abbracciare il sole che brucia ma che rende la vita. Come ad abbracciare il diavolo che abbraccia il sole che abbraccia Toby che abbraccia noi. Uno spettatore in sesta fila guarda lo schermo e sorride.
Stacco.
Scena 5. Esterno. Notte. Vicolo cieco.
Vediamo Toby il matto camminare lentamente verso il nulla che se ci fossimo noi in quel nulla non saremmo affatto il nulla, forse. Ma lui cammina. Lui è tutto. Lui è in trance. La testa bassa a fissare le viscere della terra sporca e grassa e maldestra.
Primo piano dei piedi nudi di Toby che scivolano silenziosi verso la redenzione. Verso la salvezza. La sua. E della donna che urla dal quadro. Riusciamo ancora a sentirla. Non far del male al mio bambino dice. Non far del male…
I passi si congelano. Le unghie sono sporche. Grasso vernice terra follia.
Stacco.
Inquadratura ad infrarossi. Tre sagome. Una gonfia. Due sottili. Lottano. Urlano. Vincono. Perdono.
Tre corpi in movimento verso la libertà dell’individuo e verso la sottomissione dello stesso. Indifferentemente. Nobile la causa. Triste la causa. Giusta la causa. Errata la causa.
Scena 6. Esterno. Notte. Vicolo miope.
Inquadratura di una fanciulla indifesa difesa da un matto contro un altro matto.
Dettaglio di un matto a terra. Morto crediamo. Forse lo desideriamo.
Dettaglio di un matto in piedi. Forte. Senza fiato. Vincitore.
Dettaglio di un bambino che verrà e che gioirà e che salterà e che giocherà e che amerà. Amerà.
Stacco. Scena 7. Ultima. Esterno. Notte. Vicolo dieci decimi.
Inquadratura di una canzone portata dal vento. Zummata su quell’alito che sa di speranza, sa di pace e di tranquillità. Mina: “Sei un pazzo l’ha detto il dottore che non posso pensare più a te e che devo cambiare ossessione per salvare il salvabile, me.”

domenica 6 marzo 2011

Pensieri scorrono


                                   
Oggi c’è il sole fuori. È caldo. Per la prima volta dopo tanto tempo. Mi affaccio al balcone per goderne un attimo. Chiudo gli occhi. Che meraviglia. La mia pelle gode e ringrazia, il mio cervello gode e ringrazia, la mia anima gode e ringrazia.
Sento una campana suonare le 16 zero zero al centro della piazza del mio paesino di campagna. Gli uccellini cantano e i bambini gridano felici.
E allora penso, istintivamente; immagino. C’è una campana che suona in piazza; aziono la videocamera del mio cervello, mi avvicino alla fonte di quel suono; faccio uno zoom. La vedo muoversi avanti e indietro. Ad ogni confine del tracciato segna un rintocco. Il movimento è blando, sembra che balli vero? Sì, sembra che stia ballando. Ok, allora la campana balla. Il ballo mi riporta spontaneamente alla figura di una donna; la donna è sensualità. La campana è sensuale. La campana balla sensuale. E dove lo fa? Dove balla la campana? Diversamente dalla donna che balla su di un palco, lei danza su un campanile; e com’è fatto un campanile? Può sembrare una finestra? O una porta? O un balcone? Sì, può. E quegli spazi tra le quattro colonne che sono la nostra porta/finestra/balcone a che servono? Qual è la loro specifica azione? Fanno passare aria per diffondere il suono! Giusto! E se passa aria in una finestra io maledico o santifico gli spifferi. E quindi la campana balla sensuale tra gli spifferi di un campanile. E che succede se allontano la videocamera? Da una distanza maggiore percepisco meglio il movimento; posso vedere bene la forma della campana, è rotondeggiante; è morbida nei lineamenti. Mi ricorda la passerella di una donna formosa e seducente che mostra con arte e furbizia le sue doti femminili. E allora la campana che fa? Balla sensuale tra gli spifferi di un campanile, mostrando con arte la movenza seducente delle sue curve. Sì mi piace scena.
E mentre visualizzo tutto questo, il sole è sempre lì che mi scalda; ma il sole non è solo calore. Il sole è energia, è vita, è potenza. Un’energia è libera di viaggiare nello spazio e di assumere varie forme. Quindi il sole può fare altro oltre a scaldare, lo posso vedere come forma fisica tangibile volendo usare l’immaginazione. E quando mi scalda il sole che fa? Mi tocca! Tocca tutto il mio corpo. Potrei dire quasi che lo sento rotolare dal viso fino ai piedi. Sì, allora il sole rotola sulla mia pelle. Se rotola è rotondo, rotondo come una bolla, magari una bolla d’acqua che rigenera. Acqua fresca d’estate sulla pelle. Acqua con le bolle, acqua gassata di una bottiglia. Io la verso e lei che fa? Lei scoppietta sul bicchiere. Mi piace. Quindi il sole rotola sulla mia pelle scoppiettando come bolle d’acqua gassata in una bottiglia? Esatto! E poi? La immagino rotolare sulla fronte e a cosa andrà incontro quest’acqua sul mio viso? All’epidermide e ai suoi pori, sì, e che fanno i pori? Si dilatano e si restringono! Già! Si dilatano e cos’altro si dilata e si restringe? Le pupille! Giusto. E quando lo fanno? Lo fanno al buio e alla luce. E se il sole dilata i pori il buio dilata le pupille. Esatto.  E allora l’acqua che rotola tra i pori che fa? Non fa lo slalom come farebbe uno sciatore tra le bandierine? Sì, lo fa! E se guardi la scia sulla neve di uno sciatore che fa lo slalom cosa vedi? Un serpente bianco? Sì! Un serpente! Quindi il sole rotola sulla mia pelle scoppiettando come bolle d’acqua gassata in una bottiglia serpeggiando tra pori che si dilatano imitando le pupille al cospetto del buio. Esatto. Seconda scena.
Serto gli uccellini. Cantano. Si scambiano battute da un albero all’altro come in un coro in chiesa. Quasi un inno. Volano in squadra e si spalleggiano come una famiglia, come fratelli. Potrei quasi dire che il loro sia una specie di inno alla loro stessa fratellanza. Sì, potrei perché no?! Fratellanza, famiglia..amore. L’amore sta nel cuore. L’amore è sacro. Il pettirosso in volo inneggia al sacro cuore della fratellanza. E che fa questo pettirosso in volo? Fa delle piroette magnifiche disegnando forme che sembrano enormi cuori nel cielo blu, o no? Forse è in amore, forse vorrebbe esserlo. Il pettirosso in volo inneggia al sacro cuore della fratellanza piroettando su e giù, in cerca d’amore. Terza scena.
Ma sotto il canto degli uccellini ci sono delle voci, e col solo, le urla in lontananza sono di bambini, puntualmente. Ricordo quando lo ero io. Urlavo mentre giocavo a pallone nei prati. E come giocavo? A piedi nudi, sempre. Il contatto con la terra è importante. E me li vedo correre dietro ad un pallone su di un prato molto verde. E il prato di che è fatto? Di fili d’erba, quelli sottili, che se li strappi e li metti di traverso e ci soffi sopra, fischiano. Lo stesso rumore quasi, fa il vento quando filtra tra di loro rapido e beffardo e allora? E allora..
Piedi nudi di bambini inseguono un pallone tra fili verdi d’erba fischiettante. Sì, ultima scena per oggi.
Non c’è ancora la primavera, ma sembra abbia voglia di unirsi alla festa. E mi vien voglia di scrivere in suo onore.


Primavera.
Chiudo gli occhi; una campana in lontananza balla sensuale tra gli spifferi di un campanile, mostrando con arte la movenza seducente delle sue curve; il sole rotola sulla mia pelle scoppiettando come bolle d’acqua gassata in una bottiglia e serpeggia tra i pori che si dilatano imitando pupille al cospetto del buio. Un pettirosso in volo inneggia al sacro cuore della fratellanza piroettando su e giù, in cerca d’amore. Piedi nudi di bambini inseguono un pallone tra fili verdi d’erba fischiettante.

sabato 5 marzo 2011

Noir... a colori

Per la serie..l'amore, a volte, può uccidere, se vissuto senza rispetto, se farcito di tradimento. Può uccidere se giunge al cartello STOP.


                                                             NOIR… A COLORI


Davanti a me, solo un tavolo, nel vuoto opaco di questa stanza. Poggiata sulla sua superficie ruvida e sporca di residui di cocaina, residui di tristezza, residui di una nottata di merda, lunga, straziante, insonne, maledetta… solo una fotografia; scabrosa, maledetta… come la droga.
Una luce soffusa penetra dagli spiragli della tapparella abbassata, creando un’atmosfera da film noir: surreale; come distratta dalla proiezione di un lungometraggio, entra quasi sorpresa ad illuminare debolmente il tavolino, i piccoli cristalli bianchi di morte da inalare con sarcasmo, una stampa a colori da osservare con odio incalzante e il lato destro del mio volto affranto e drogato, fermo, immobile, con gli occhi rossi e stanchi; le ciglia alte e incollate fra loro, le pupille fisse e dilatate.
L’ansia qui, regna sovrana.
La mia mano destra trema vistosamente nel tenere l’accendino, mentre l’altra penzola mezza morta sul lato sinistro della sedia su cui poggia il mio culo pesante; il pollice scivola lento sulla rotella metallica innescando con fatica la scintilla che, svogliata, fa il suo lavoro e dal piccolo buco dietro essa, fuoriesce il gas puzzolente che prende subito fuoco, illuminandomi il viso e procurandomi un fastidio pungente al cervello; il colore della fiamma è violaceo e la sua consistenza sembra ondeggiare lentamente nell’aria, creando delle serpentine che mi fissano curiose e accusatorie e che forse… forse, mi parlano anche: mi criticano; mi giudicano.
Un monologo di insulti caldi si avvicina lento alle mie labbra bianche e disidratate, divise da una sigaretta spezzata, più bianca che marrone: più coca che tabacco, più veleno che veleno, più morte che morte. La carta tagliata irregolare ed i fili di tabacco strappati con le mani, diventano subito viola e incandescenti ed un fumo blu e denso sale ansioso verso il soffitto, come a cercare libertà, a cercare ossigeno, aria pulita da respirare.
La mano si allunga ad aggiungere l’accendino alla solitudine della foto sul tavolo marrone  Fuoco e fiamme tesoro… fuoco e fiamme , quasi ad assicurarsi che d’ora in poi sia in buona compagnia, o in pessima, mentre i miei polmoni si riempiono, di nuovo, di merda calda che non ho nemmeno la forza di espellere tossendo. Guardo la sigaretta consumarsi veloce sotto la furia dei miei tiri ingordi e lunghi e ripenso alla nottata, alle ore trascorse fino a questo momento, alla rabbia provata, alla delusione insidiatasi nel cervello, a rimanerci per sempre. Rivedo i soldi, lo spacciatore che si definisce amico, la corsa in macchina fino a casa, la telefonata a Giulia e le lunghe righe bianche che appaiono e scompaiono come per magia.  Magia bianca… magia nera.  Rivedo quella busta rosa, dalla quale è saltata fuori la fotografia aggredendomi come una serpe velenosa dai denti aguzzi, precisi e assassini. Rivedo il preciso istante in cui i miei occhi si sono spalancati di fronte a quell’immagine e il mio cuore ha sobbalzato per la prima volta con tale decisione e forza da togliermi il fiato. Rivedo il testo di quella canzone straziante, come fosse scritto indelebile sulle mie pupille, per sempre    è quasi dolce sai, poter gridare che nessuno al mondo mai ti odierà più di me”.
Gocce salate e fastidiose scorrono lente, quasi fluide, dall’attaccatura dei capelli, giù, fino alle labbra, che ne assaporano il gusto tremando e bruciando perché il filtro della sigaretta ormai finita, è rimasto attaccato ad una bocca secca e insensibile; il fumo che sale ora e che rapidamente cambia colore una volta entrato nella sfera visiva delle mie iridi agonizzanti, avrebbe un odore forte e pesantemente sgradevole, se solo le mie narici non fossero completamente anestetizzate, infiammate e insanguinate Fuoco e fiamme tesoro… fuoco e…
Fiamme lente e serpentine, colori distorti a velocità ridotta, arti bradiposi, pensieri macchinosi e allucinati, fumo denso e droga pesante che si muovono a fatica, all’interno del mio corpo. Lento. Lento.
Il mio cuore sta impazzendo; batte ad una velocità indescrivibile, insostenibile, pericolosa. Ogni battito è un respiro affannoso; ogni respiro faticato è una spruzzata di sudore tossico, velenoso. Sento la giugulare pulsare forte e rapida sotto la pelle, giocando a mosca cieca con l’ansia, che corre, cercando di fottermi, di uccidermi. Il veleno scivola senza freni nel sangue sporco in me, come un kayak che pagaia svelto lungo il fiume, pieno di altri suoi simili, mischiandosi tra loro, nuotando con loro, vivendo con loro. Causa e conseguenza insieme, dello stesso loro vagare assieme.
E l’ansia aumenta e la paura decolla e la pioggia di sudore si trasforma in cascate del Niagara e il motore del mio treno, cuore rapido e spavaldo, sforza e fuma senza legna e grida e ruggisce e soffre. Poi rallenta. Quasi si ferma. Senza forza, né pressione. Poi di botto si riprende e cavalca, cavalca, cavalca quasi fino a raggiungere Furia, nel vecchio e lontano West.
Non riesco a respirare e il petto mi fa male; ogni terminazione nervosa trema in un impeto di totale perdita di controllo; brividi di ghiaccio assalgono la mia pelle disidratata, i miei muscoli ormai innocui, le mie vene inquinate, le mie ossa adesso fragili.
Sento chiaramente che non posso più muovermi; sento che se lo facessi… che quando lo faccio il cuore salta e rimbalza violento, come un elastico che, legato alla vita di un ragazzino, si tende quasi fino a spezzarsi dopo il salto, per poi tornare rapido all’estremo opposto, ripiegandosi su sé stesso, facendomi male e dandomi la bruttissima sensazione che presto, molto presto, quell’elastico si spezzerà nel momento di massima estensione, proprio nel centro, lasciando che il ragazzo si sfracelli senza scampo sull’asfalto duro e sporco e puzzolente di chissà quale piazza, in chissà quale città di questo maledetto mondo.
Ho paura. Ho tremendamente paura.
Il panico ripercorre frenetico i sentieri del mio cervello annebbiato e ciò che è peggio, è che non posso sfogarlo in alcun modo. Non posso muovermi. Fa troppo male. E finalmente il pensiero arriva; tremendo e micidiale, come il proiettile di un cecchino appostato sul tetto; mi trafigge; mi annienta.    Morirò.  
Ma ciò che più mi fa paura è il dolore che troverò nella morte.
Cerco di restare immobile come sono, ma un istinto quasi suicida mi spinge verso il tavolo, verso la fotografia, verso di lei. Ancora una volta.
Una voce malata e distorta mi sussurra che andrà tutto bene, che non soffrirò più, non più  parola d’onore…amico.  Ciò che devo fare è solo affrontare la realtà, abbracciarla, guardarla dritta in faccia con temeraria sicurezza e vincerla. Vincere.
Le mie mani, ieri così forti e sicure, cercano ora il conforto dei braccioli per trovare la spinta giusta, la forza di farmi alzare per gettarmi in quelle braccia; tutto il corpo trema in preda alle convulsioni, ma ce la faccio. Le vertigini mi aggrediscono senza perder tempo, la testa gira improvvisamente in maniera disastrosa e una fitta al petto mi stravolge, chiudendomi la gola. I piedi volano via insieme alle ginocchia; tutto si fa nero e il sonno arriva devastante; la mia faccia si spiaccica sul tavolo basso e sui residui di cocaina, con un tonfo sordo e sinistro. Un raggio di luce timido e indeciso, si fa strada tra la polvere, senza pretese e si posa sulla fotografia, evidenziandone i colori e le ombre, i visi e le loro espressioni, il letto e i due corpi nudi, le mani di lei e quelle di lui; ma soprattutto, sembra voler sottolineare il piacere di lei.   Il piacere, il piacere, il piacere.
Con gli occhi spalancati e vitrei fisso quell’immagine, causa di tutto questo, senza ormai provare più nulla, senza più emozioni, solo con la bava alla bocca e il cuore che lentamente si spegne, si annerisce, si ferma.                Giulia, così mi uccidi.
Il mio sguardo è fisso su di lei, ora   ti amo…
Il suo sguardo, su qualcun altro   ………
E il piacere che prova, con le unghie conficcate in una schiena che non è la mia, quel piacere che da sempre dedicava solo a me, e che ora non c’è più, mi sta uccidendo lentamente. Non c’è più. Lei, non c’è più. Noi … non c’è più.
          mi hai ucciso.
Occhi fissi, spenti; polmoni fermi, immobili; sangue freddo, sporco. Cuore spezzato, morto.

“è quasi dolce sai…nessuno al mondo mai.. più di me”.

giovedì 3 marzo 2011

Cuore in gola



E' il sapore del ricordo che riempie la mia bocca, la mia lingua, la mia gola.
E' di un gusto troppo amaro perché possa io apprezzarlo.
E' di un gusto troppo amaro perché possa io ingoiarlo.
Senza olfatto non c'è estro e allora taglio; rompo; disfo; distruggo; anniento.
Cavità nasali zuppe di sangue e di dolcezza; sapidità schifosa che disgusta.
Odioso lezzo di linfa vitale che invade i miei appetiti, i miei gusti e i miei profumi.
Chiudo gli occhi e nel silenzio lascio scorrere il mio mare;
dentro e fuori; in me in te; al passato nel presente; dello zucchero nel sale.
Nel buio sgorgano.
Sangue e lacrime; dolce e salato; rabbia e gioia.
Non riesco e son testardo;
sorseggio la mia essenza, la mia vita, la mia collera e ingoio a fiotti, divoro tutto e accetto la sconfitta.
Il mio dolore; il tuo dolore; il tuo sapore... il tuo ricordo.
Perché non posso. Non posso sputare e dimenticare.
Non posso amare e insieme odiare.

E' il sapore del ricordo che mi riempie e mi tormenta e mi sazia e mi soddisfa.

martedì 1 marzo 2011

Profumo di donna

Frugando tra i cassetti ho trovato queste righe, mi hanno fatto pensare al tango, quello argentino, quello ballato sui venti, quello sudato con passione, posseduto con ardore.

Video: Dani C'è
Foto: Google Images
Musica: Por una cabeza(taglio)di Carlos Gardel (Scent of woman)





E mi ritrovo così, cullato tra le lenzuola, dove il tuo odore è ancora forte, il tuo sapore ancora caldo; 
dove il suono dei tuoi ancora  
mi riempie…                                                      
ancora e ancora e ancora.

E mi ritrovo così, estasiato, tra ricordi provocanti, tra le curve del tuo seno; tra capelli lunghi e mossi al vento della passione;
tra sospiri e sguardi e piaceri e giramenti; tra gambe tremanti e schiene inarcate e lingue bagnate e mani eccitate;        
                                       
E mi ritrovo così, perso, in un istante, in un ciglio, in una goccia, 
in un fiato.                                               
Perso, nel profondo di due occhi, nel riflesso di uno specchio;
nudi.
Appagati.                                                                                                

E mi ritrovo così, innamorato, trafitto da un tuo sguardo, trafitto dal tuo mare, trafitto dal tuo orgasmo.

E mi ritrovo così, innamorato… trafitto e innamorato, svenuto e innamorato, sognante e innamorato,
Testardo
e
innamorato.