...fermiamoci ad osservare

giovedì 17 febbraio 2011

Il prato dei vincenti

Questo racconto l'ho scritto su una panchina al parco sempione di Milano.
Volevo trasmettere qualcosa di particolare, di profondo. L'amore.




Seduto comodo su una panchina del parco, respiro tranquillo l’aria inquinata di questa città. Gli alberi sono ormai fioriti e l’erba comincia a crescere a vista d’occhio; i pioppi corrono felici a far starnutire i tristi allergici che passeggiano pensierosi, calpestando marciapiedi sporchi e pieni di cartacce che svolazzano senza meta, trascinate da un vento tiepido che gioca e si diverte coi capelli biondi, mori e rossi delle donne che vagano per la città, facendoli fluttuare nel vuoto inseguiti dalle foglie, che fanno a gara per restare il più a lungo possibile a volare, libere, leggere, felici.
Il cielo è azzurro, lassù in alto e qualche piccola nuvola trascorre il suo tempo movendosi lenta e indecisa sotto il volo rapido, tempestoso, affascinante e rumoroso di aerei di linea pieni zeppi di viaggiatori stressati, hostess e steward dal falso sorriso rassicurante e piloti così stufi della vita sulla terra, da rischiare ogni giorno la pelle, elevandosi ad altezze un tempo inimmaginabili perfino per le menti più folli e più fantasiose in circolazione. Senza lasciare tracce, i visitatori di questo parco attraversano le poche stradine asfaltate con estrema leggerezza, ognuno preso dai suoi pensieri o dalle chiacchierate amorose o dagli sguardi ammiccanti e sensuali; ognuno con la sua storia alle spalle, già vissuta e altre mille negli occhi ancora da vivere, fin’ora solo sognate; tutti apparentemente normali, persone sane di corpo e di mente, con esperienze e segreti che, probabilmente, io non saprò mai. Storie di sicuro interessanti, che mi piacerebbe sentir raccontare, ascoltandone le sfumature, gli inizi, i risvolti e la fine, bella o brutta che sia, sorprendendomi di tanto in tanto, commovendomi per qualche bel particolare, ammirando gli occhi lucidi del narratore. Ma non ora.
Davanti a me, seduto con lo sguardo fisso nel vuoto, le mani rugose dimenticate su delle ginocchia stanche, la schiena leggermente inarcata, i piedi un po’ storti con le punte delle scarpe vecchie, che convergono verso il centro formando un triangolo, quasi fino a toccarsi, un tenero vecchietto sta aspettando il tramonto; sta attendendo il buio e con lui, la fine di un altro giorno; ventiquattro ore che per l’anziano uomo, nella sua testa, devono essere estremamente lunghe, o estremamente corte. Bisognerebbe poterglielo chiedere ma, ormai, non è più in grado di rispondere, né di capire e questa è una gran perdita.
Ne ho incontrati tanti nella vita, di vecchi chiacchieroni; quando iniziano a parlare del loro passato, è difficile frenargli la lingua, la voglia di esprimersi, di condividere, di ricordare; la smania di raccontare e di farsi conoscere, il desiderio di tornare indietro, di rivivere le corse, i giochi, gli accoppiamenti focosi, ma anche solo le camminate a passo leggero, i pranzi tra amici gustati con disinvoltura e le sane bevute senza preoccupazioni. Lui non è diverso da tutte queste persone. Lui narra delle sue avventure andate, esattamente come gli altri, con la stessa emozione negli occhi, con la stessa enfasi, con lo stesso tremolio nelle mani.

Sai figliolo, quando ero giovane io… queste cose non succedevano…. Le ragazze di oggi sono tutte scostumate…… vanno in giro come fossero sempre in spiaggia…… mostrando a tutti il deretano e ciò che dovrebbe coprirlo, che ovviamente, non lo fa. Una volta prima di potersi baciare… bisognava assicurarsi di essere brave persone, sai…dovevi vestirti bene per far la corte alle ragazze…dovevi essere educato…e loro lo stesso!…una volta…un uomo mi disse che dovevo trovare una brava donna con cui vivere tuuuutta la vita…che dovevo trovare qualcuna di veramente speciale… che ci avrebbe pensato lei a me…alla mia vita..a farmi da mangiare…a darmi da bere…e a mantenere viva la mia vita…non so se mi spiego. Ah…ma adesso…si credono tutti già grandi anche quando sono solo dei ragazzini…e fanno i bulli per strada…non hanno rispetto per noi…non hanno rispetto per niente… se solo avessero visto quello che hanno visto i miei occhi in guerra…tratterebbero meglio la loro vita, ragazzo…te lo dico io. Non starebbero tutto il giorno a fumare e a bere senza studiare e senza rispettare il prossimo. Oh si…oggi…è tutto diverso da allora.

Guardarlo seduto su quella panchina, abbandonato da tutti, abbandonato quasi dalla vita stessa, mi rende triste la giornata, malinconica; ma non oso alzarmi; non oso andar via, allontanarmi da quel viso, da quelle rughe, da quella pelle scura e stanca; voglio solo star lì a sforzarmi di leggere i suoi pensieri, a sperar di poter vivere i suoi ricordi, le sue emozioni.
Condividere; amare; rispettare.
Il sole gli illumina il lato sinistro del volto rendendoglielo incredibilmente più giovane, più sano, più vivo; un leggero vento si sposta a passo lento tra i suoi capelli bianchi ondeggiando come un mare al tramonto, mentre la sua mano sinistra trema sotto i colpi blandi, ma continui di spasmi muscolari. Decine di persone gli passano davanti, senza nemmeno notarlo; dozzine, tra uomini e donne, che transitano d’innanzi agli occhi di un anziano seduto su una panchina in un parco, senza che lui, nemmeno le noti. Che bello sarebbe, che gioia proverei se anche uno solo di questi sconosciuti si fermasse un misero secondo, sedendosi accanto a lui, chiedendogli come va, come stà; se uno di  questi conosciuti mai, rubasse alla sua stessa vita due singoli e tanto preziosi attimi, per regalarli a quel vecchietto tanto tenero, tanto solo e, forse, tanto triste; sarebbe bello unirsi a loro e stimolare discorsi incredibili ed improbabili, ascoltare con ammirazione e sorridere delle parole volate via da quelle labbra secche.
                                                                                                                        Quand’ero sotto le armi… mi hanno mandato a Pisa sai…si…a fare la guardia…ah…era pesante ragazzo mio…tutta la notte fermo immobile davanti a un portone senza poter nemmeno pisciare..e poi… è arrivata la guerra..oh…come avrei voluto poter stare sempre lì…davanti a quel portone…ma ho dovuto servire il mio paese. Si. Quanti giovani ragazzi ho visto morire. Saltati sotto i colpi di mortaie… molti erano appena maggiorenni…e guarda adesso…vanno a ballare…si drogano…e muoiono per strada nelle stragi del sabato sera… che ingrati.
Ma tu figliolo…tu sei diverso…oh si..io lo vedo…che sei un bravo ragazzo…non…non ti droghi tu di sera, vero?? Sta bene attento a quella roba ragazzo…quelle schifezze uccidono la gente…e tu lo sai..

Osservo il flusso continuo di corpi vivi muoversi tutt’intorno a me, ne ascolto le energie, ne capto i battiti, ne studio i movimenti, ne percepisco gioie e dolori e penso che un giorno, tanto tempo fa, persino lui era così vivo, così sano, così giovane. Mi ritrovo a chiedermi che fine faranno tutti questi corpi che transitano leggeri tra la mia panchina e la sua; mi domando se diventerò mai come lui; se prenderò mai il suo posto; se diventerò anch’io uno scheletro nel parco che aspetta ansioso una triste e lenta decomposizione, portata dall’ennesimo tramonto; mi chiedo quando…  quando, io?
I suoi occhi sono fermi, anche se sembrano perennemente in movimento, come un’enorme tempesta nel deserto; le pupille si allargano e si stringono in un movimento perpetuo che ricorda un po’ le incessanti onde del mare che inseguono le risacche, in un gioco infinito di venti e di riflessi.
Forse non mi vede, anche se guarda dritto verso di me, creando un incontro, forse inconsapevole, di iridi al cioccolato.
Forse, forse non mi vedono, ma sono sicuro che quegli occhi parlano ed è come se ora, in questo preciso istante, col vento che soffia e i pennuti che cantano, stessero raccontando; raccontando di sé.

Quando l’ ho conosciuta… la mia vita è cambiata… radicalmente sai… oh sì… lei… lei mi ha insegnato tutto… mi ha insegnato a vivere… era una gran ragazza… lo era… ed è diventata una gran donna… lo è diventata. Era quasi perfetta sai… parlava tre lingue… sapeva cucinare… bene… sapeva ballare… era bella… aveva carattere… sapeva ciò che voleva e come ottenerlo…e tutte queste cose… ha cercato di insegnarle a me… di trasmetterle a me… per tutta la vita… persino sul letto di morte… con gli occhi socchiusi e le labbra  tremanti.
Per me era sempre bellissima… era sempre mia moglie… la mia amata… mi manca sai… mi manca ogni giorno… ogni mattina col letto mezzo freddo… ogni pranzo con una forchetta ed un coltello… ogni sera a cantar da solo,  sulle dolci note di Barry White… ogni notte… ogni… notte. Ma lei c’è… so che è qui… la sento… la sento forte… è il suo ultimo regalo per me… da lassù… mi accarezza… mi accudisce… mi aspetta… senza fretta… senza tempo.
Sorrido, sai… ogni volta che ne sento la mancanza… io sorrido..e questo… è il mio ultimo regalo per lei..

Mi sembra di sentirlo. Raccontare… raccontare come un tempo era bravissimo a fare, gesticolando, marcando bene la prima o le ultime sillabe delle parole chiave della storia… sì, perché era la sua storia e ci teneva tanto a narrarla bene; ad essere ascoltato; ad essere capito. E ora guardalo, lì da solo su quella panchina in mezzo ad un parco, pieno di amore ad attendere il crepuscolo, senza fretta, senza tempo, senza gioia, senza vita… apparentemente.
Solo.
Il vento si alza e la polvere con lui; le foglie ballano e cantano gioiose della loro estate; gli uccellini volano e si uniscono al coro, ed io… io mi rimbocco le maniche che non indosso, faccio cinque passi con lo sguardo fisso nel suo, mi avvicino, gli accarezzo la guancia, rabbrividisco al contatto con tante rughe tremanti e, dolcemente, faccio la mia personalissima parte. Lo sconosciuto. Lo sconosciuto numero uno.
   < Ehi?… è ora di andare a casa, sai? È ora di tornare.>
Il suo sguardo assente mi osserva senza temere, senza indugiare. La sua mano debole e magra si appoggia dolce alla mia, stranamente forte e sicura. I suoi polmoni stanchi respirano ancora, ancora aria, e il suo cuore, si affida al mio.
   < Dove andiamo, ragazzo?… dove andiamo, ragazzo?… dove…? >.
Il mio animo si riempie di lacrime, tenero e selvaggio allo stesso tempo. La mia mano stringe forte, con fermezza e naturalezza.
   < Andiamo a casa! >.
Migliaia di ore son trascorse oggi nella sua vita; pochissimi secondi, forse, nella sua testa; s’incammina lento, zoppicando un pò, senza lamentarsi, senza dire niente, senza fare domande. È un uomo forte lui. Ha fatto la guerra. Ha vissuto la vita. E me l’ ha raccontata. È un uomo forte, lui.. e si fida di me. Si fida di me.
   < Ti amo, sai?… nonno, ti amo. >
Il crepuscolo ci abbraccia, gli uccelli tornano a cantare, il vento corre accanto a noi, portandosi dietro voci, grida, storie, racconti, sussurri… segreti; lei aspetta, senza fretta, senza tempo; lui sorride, ed io… io lo guardo, ricambio il sorriso e con il dito gli asciugo l’ennesima lacrima che va giù, come sabbia che scivola triste sulla sagoma di un pallone da spiaggia, dolcemente, piano, piano.
          

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