...fermiamoci ad osservare

sabato 5 marzo 2011

Noir... a colori

Per la serie..l'amore, a volte, può uccidere, se vissuto senza rispetto, se farcito di tradimento. Può uccidere se giunge al cartello STOP.


                                                             NOIR… A COLORI


Davanti a me, solo un tavolo, nel vuoto opaco di questa stanza. Poggiata sulla sua superficie ruvida e sporca di residui di cocaina, residui di tristezza, residui di una nottata di merda, lunga, straziante, insonne, maledetta… solo una fotografia; scabrosa, maledetta… come la droga.
Una luce soffusa penetra dagli spiragli della tapparella abbassata, creando un’atmosfera da film noir: surreale; come distratta dalla proiezione di un lungometraggio, entra quasi sorpresa ad illuminare debolmente il tavolino, i piccoli cristalli bianchi di morte da inalare con sarcasmo, una stampa a colori da osservare con odio incalzante e il lato destro del mio volto affranto e drogato, fermo, immobile, con gli occhi rossi e stanchi; le ciglia alte e incollate fra loro, le pupille fisse e dilatate.
L’ansia qui, regna sovrana.
La mia mano destra trema vistosamente nel tenere l’accendino, mentre l’altra penzola mezza morta sul lato sinistro della sedia su cui poggia il mio culo pesante; il pollice scivola lento sulla rotella metallica innescando con fatica la scintilla che, svogliata, fa il suo lavoro e dal piccolo buco dietro essa, fuoriesce il gas puzzolente che prende subito fuoco, illuminandomi il viso e procurandomi un fastidio pungente al cervello; il colore della fiamma è violaceo e la sua consistenza sembra ondeggiare lentamente nell’aria, creando delle serpentine che mi fissano curiose e accusatorie e che forse… forse, mi parlano anche: mi criticano; mi giudicano.
Un monologo di insulti caldi si avvicina lento alle mie labbra bianche e disidratate, divise da una sigaretta spezzata, più bianca che marrone: più coca che tabacco, più veleno che veleno, più morte che morte. La carta tagliata irregolare ed i fili di tabacco strappati con le mani, diventano subito viola e incandescenti ed un fumo blu e denso sale ansioso verso il soffitto, come a cercare libertà, a cercare ossigeno, aria pulita da respirare.
La mano si allunga ad aggiungere l’accendino alla solitudine della foto sul tavolo marrone  Fuoco e fiamme tesoro… fuoco e fiamme , quasi ad assicurarsi che d’ora in poi sia in buona compagnia, o in pessima, mentre i miei polmoni si riempiono, di nuovo, di merda calda che non ho nemmeno la forza di espellere tossendo. Guardo la sigaretta consumarsi veloce sotto la furia dei miei tiri ingordi e lunghi e ripenso alla nottata, alle ore trascorse fino a questo momento, alla rabbia provata, alla delusione insidiatasi nel cervello, a rimanerci per sempre. Rivedo i soldi, lo spacciatore che si definisce amico, la corsa in macchina fino a casa, la telefonata a Giulia e le lunghe righe bianche che appaiono e scompaiono come per magia.  Magia bianca… magia nera.  Rivedo quella busta rosa, dalla quale è saltata fuori la fotografia aggredendomi come una serpe velenosa dai denti aguzzi, precisi e assassini. Rivedo il preciso istante in cui i miei occhi si sono spalancati di fronte a quell’immagine e il mio cuore ha sobbalzato per la prima volta con tale decisione e forza da togliermi il fiato. Rivedo il testo di quella canzone straziante, come fosse scritto indelebile sulle mie pupille, per sempre    è quasi dolce sai, poter gridare che nessuno al mondo mai ti odierà più di me”.
Gocce salate e fastidiose scorrono lente, quasi fluide, dall’attaccatura dei capelli, giù, fino alle labbra, che ne assaporano il gusto tremando e bruciando perché il filtro della sigaretta ormai finita, è rimasto attaccato ad una bocca secca e insensibile; il fumo che sale ora e che rapidamente cambia colore una volta entrato nella sfera visiva delle mie iridi agonizzanti, avrebbe un odore forte e pesantemente sgradevole, se solo le mie narici non fossero completamente anestetizzate, infiammate e insanguinate Fuoco e fiamme tesoro… fuoco e…
Fiamme lente e serpentine, colori distorti a velocità ridotta, arti bradiposi, pensieri macchinosi e allucinati, fumo denso e droga pesante che si muovono a fatica, all’interno del mio corpo. Lento. Lento.
Il mio cuore sta impazzendo; batte ad una velocità indescrivibile, insostenibile, pericolosa. Ogni battito è un respiro affannoso; ogni respiro faticato è una spruzzata di sudore tossico, velenoso. Sento la giugulare pulsare forte e rapida sotto la pelle, giocando a mosca cieca con l’ansia, che corre, cercando di fottermi, di uccidermi. Il veleno scivola senza freni nel sangue sporco in me, come un kayak che pagaia svelto lungo il fiume, pieno di altri suoi simili, mischiandosi tra loro, nuotando con loro, vivendo con loro. Causa e conseguenza insieme, dello stesso loro vagare assieme.
E l’ansia aumenta e la paura decolla e la pioggia di sudore si trasforma in cascate del Niagara e il motore del mio treno, cuore rapido e spavaldo, sforza e fuma senza legna e grida e ruggisce e soffre. Poi rallenta. Quasi si ferma. Senza forza, né pressione. Poi di botto si riprende e cavalca, cavalca, cavalca quasi fino a raggiungere Furia, nel vecchio e lontano West.
Non riesco a respirare e il petto mi fa male; ogni terminazione nervosa trema in un impeto di totale perdita di controllo; brividi di ghiaccio assalgono la mia pelle disidratata, i miei muscoli ormai innocui, le mie vene inquinate, le mie ossa adesso fragili.
Sento chiaramente che non posso più muovermi; sento che se lo facessi… che quando lo faccio il cuore salta e rimbalza violento, come un elastico che, legato alla vita di un ragazzino, si tende quasi fino a spezzarsi dopo il salto, per poi tornare rapido all’estremo opposto, ripiegandosi su sé stesso, facendomi male e dandomi la bruttissima sensazione che presto, molto presto, quell’elastico si spezzerà nel momento di massima estensione, proprio nel centro, lasciando che il ragazzo si sfracelli senza scampo sull’asfalto duro e sporco e puzzolente di chissà quale piazza, in chissà quale città di questo maledetto mondo.
Ho paura. Ho tremendamente paura.
Il panico ripercorre frenetico i sentieri del mio cervello annebbiato e ciò che è peggio, è che non posso sfogarlo in alcun modo. Non posso muovermi. Fa troppo male. E finalmente il pensiero arriva; tremendo e micidiale, come il proiettile di un cecchino appostato sul tetto; mi trafigge; mi annienta.    Morirò.  
Ma ciò che più mi fa paura è il dolore che troverò nella morte.
Cerco di restare immobile come sono, ma un istinto quasi suicida mi spinge verso il tavolo, verso la fotografia, verso di lei. Ancora una volta.
Una voce malata e distorta mi sussurra che andrà tutto bene, che non soffrirò più, non più  parola d’onore…amico.  Ciò che devo fare è solo affrontare la realtà, abbracciarla, guardarla dritta in faccia con temeraria sicurezza e vincerla. Vincere.
Le mie mani, ieri così forti e sicure, cercano ora il conforto dei braccioli per trovare la spinta giusta, la forza di farmi alzare per gettarmi in quelle braccia; tutto il corpo trema in preda alle convulsioni, ma ce la faccio. Le vertigini mi aggrediscono senza perder tempo, la testa gira improvvisamente in maniera disastrosa e una fitta al petto mi stravolge, chiudendomi la gola. I piedi volano via insieme alle ginocchia; tutto si fa nero e il sonno arriva devastante; la mia faccia si spiaccica sul tavolo basso e sui residui di cocaina, con un tonfo sordo e sinistro. Un raggio di luce timido e indeciso, si fa strada tra la polvere, senza pretese e si posa sulla fotografia, evidenziandone i colori e le ombre, i visi e le loro espressioni, il letto e i due corpi nudi, le mani di lei e quelle di lui; ma soprattutto, sembra voler sottolineare il piacere di lei.   Il piacere, il piacere, il piacere.
Con gli occhi spalancati e vitrei fisso quell’immagine, causa di tutto questo, senza ormai provare più nulla, senza più emozioni, solo con la bava alla bocca e il cuore che lentamente si spegne, si annerisce, si ferma.                Giulia, così mi uccidi.
Il mio sguardo è fisso su di lei, ora   ti amo…
Il suo sguardo, su qualcun altro   ………
E il piacere che prova, con le unghie conficcate in una schiena che non è la mia, quel piacere che da sempre dedicava solo a me, e che ora non c’è più, mi sta uccidendo lentamente. Non c’è più. Lei, non c’è più. Noi … non c’è più.
          mi hai ucciso.
Occhi fissi, spenti; polmoni fermi, immobili; sangue freddo, sporco. Cuore spezzato, morto.

“è quasi dolce sai…nessuno al mondo mai.. più di me”.

3 commenti:

  1. ...fa davvero male..è troppo vero...e leggerlo è come riprovarlo....riesci ad entrare e tirare fuori emozioni nascoste...non ci si può fermare,ma sempre arrivare alla fine!!!!!! grazie

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  2. bugiardo incosciente...molto bello!

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